lunedì 23 agosto 2010

Un po' di felicità

Mario non era un uomo felice.

Ma non come vorrebbero certuni, quando esprimono il loro desiderio di felicità. Mario voleva solo una vita normale, essere amato da sua moglie e dai suoi figli, poter tornare a casa la sera e ritrovarli tutti ad attenderlo. Chiacchierare del più e del meno in attesa della cena, mangiare un boccone con loro, guardare un po’ di tv assieme o anche dar le chiavi della macchina al maggiore e fare le solite raccomandazioni che si fanno ai giovani di vent’anni.
Purtroppo sua moglie lo tradiva e non era la prima volta. Lo ignorava, lo avviliva, gli diceva che non aveva le palle e che un giorno non sarebbe più tornata. Lui, nonostante tutto e assurdamente, l’amava e la desiderava ancora, come si desiderano le cose impossibili, con quel dolore sottile che s’impossessa dell’anima. Era un tormento inesorabile che lo consumava nell’intimo, e mentre fuori sembrava tutto uguale, dentro era morto.
Suo figlio frequentava gente strana e pericolosa; forse aveva cominciato a drogarsi. Quel figlio che aveva desiderato più d’ogni altra cosa, per il quale aveva vissuto, sperato, fatto progetti e fantasticato. Non su chissà che, ma solo un futuro normale, una compagna che lo amasse, magari un nipotino. Suo figlio, che forse suo non era.
E poi c’era la piccola, così speciale e così diversa. Sempre immobile sulla sedia a rotelle, con gli occhi vispi che dicevano tutto quello che la bocca non poteva. Perché sua figlia non parlava, non aveva mai parlato, e non si muoveva. Tutti gli specialisti avevano dato lo stesso responso: non era ritardata, ma aveva subito una lesione irreversibile alla colonna vertebrale.
Quel giorno, però, Mario aveva deciso che le cose sarebbero cambiate, che anche lui avrebbe avuto un po’ di felicità.
Così, uscì presto e fu il primo ad entrare nel negozio di scarpe non troppo distante da casa. Misurò quel paio, anche se di due numeri più piccolo del suo. A niente erano valse le insistenze del commesso affinché le misurasse del numero esatto, lui -irremovibile- aveva chiesto quel numero, decisamente e assurdamente troppo piccolo per lui. Aveva anche voluto tenerle ai piedi e il commesso non aveva obbiettato, considerandolo certamente pazzo.
Era uscito a piccoli e dolorosi passi dal negozio, e con una sofferenza indicibile aveva percorso la poca distanza che lo separava dalla sua abitazione. Da subito ogni passo era stato un tormento per i suoi piedi. La pelle bruciava, i muscoli delle gambe erano rigidi per lo sforzo. Quasi arrivato, il dolore lo aveva sommerso. Ormai sentiva la poca carne delle sue estremità dilaniata da quelle scarpe troppo strette, incomprensibili come la sua decisione.
Entrato a casa con gli occhi lucidi, aveva raggiunto la poltrona del salotto, a pochi centimetri da sua figlia, un mobile tra gli altri.
-Meno male che sei tornato! Io sto uscendo!- aveva urlato sua moglie. Poi solo la porta d’ingresso sbattuta e il suo profumo.
Dopo un po’ si era affacciato suo figlio.
-Me li dai trenta euro?
-A cosa ti servono?- aveva chiesto in un soffio.
-Sei un vecchio rompi coglioni!
Un istante dopo ancora la porta d’ingresso.
Solo, con quel poco di forza che gli era rimasta, col dolore che lo stordiva e la vista annebbiata, si tolse quelle scarpe troppo strette.
Una sensazione meravigliosa lo travolse, un brivido di felicità percorse la sua colonna vertebrale, come un orgasmo, e un debole lamento gli sfuggì dalle labbra. Si sentì bene, assurdamente bene, coi piedi finalmente liberi. Con gli occhi chiusi si godeva totalmente quel momento, in un amplesso con se stesso così appagante e pazzesco.
Proprio quando la sua coscienza gli suggeriva che quella era l’unica felicità che gli sarebbe stata concessa, sentì:- Papà…
Si voltò verso quella figlia così speciale, che lo guardava veramente.
Poi osservò le sue scarpe nuove e sorrise.

8 commenti:

  1. Un bel racconto dal sapore decisamente amaro.
    Brava brava

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  2. Grazie, Grazie.
    Anche gli umoristi ogni tanto piangono. ;)

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  3. triste............ma bello!Brava

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  4. Veramente bello! Racconto che dimostra straordinarie capacità di sintesi. Noto con un piccolo brivido che anche in questo racconto il protagonista, che veste anche il ruolo di vittima, è un uomo, mentre il principale carnefice una donna!

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  5. E sì. Temo che dovrò entrare in analisi per capire a fondo questa ossessione! :D

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  6. molto bello, dritto al cuore come una pugnalata...

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  7. Grazie Ale, spero tu sopravviva perchè devi leggere gli altri miei racconti! :D

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