lunedì 31 agosto 2020

Chiacchierare con un uomo (cosa devi sapere prima di iniziare)


 


Siamo diversi. 

STOP. 

Perché? 

Non lo so (e non lo sa nessuno, aggiungerei).

Però se ne può discutere. Per esempio, sono rarissime quelle donne che riescono a trovare un compagno col quale fare chiacchierate chilometriche. La conversazione per un uomo è a strati, un po’ come la pasta al forno. Ogni strato corrisponde a un tema diverso in cui prevale assolutamente l’elemento razionale. La discussione deve essere essenziale e mirare al sodo, la soluzione e la conclusione devono giungere in un nano secondo.

La conversazione per la donna è un frullato, in cui si mescolano tutte le eccezioni, le sottigliezze e un miliardo di particolari assolutamente irrilevanti. Deve durare almeno due ore, diversamente non porterà a niente. Il piacere della donna sta spesso semplicemente nel far conversazione, per l’uomo nel risolvere la questione.

Nella conversazione la donna usa moltissime parole, ma anche molto i gesti, la mimica facciale, la teatralità. L’uomo invece usa essenzialmente le parole, ma sono giusto una ventina, ed ecco perché vuole risolvere in fretta la questione.

Ma la differenza più incredibile è che in una conversazione la donna manda messaggi che devono essere decriptati. Lei è convinta che il maschio li decripti perfettamente, ma il guaio è che purtroppo questo non accade quasi mai e lei si convince che lui non la capisca nel profondo.

La donna è complessa, contorta, allegorica; se deve fare una scelta vuole farla tra venti opzioni. L’uomo è semplice, diretto, essenziale; se deve fare una scelta vuole farla tra due alternative. 

La donna arriverà alla fine della chiacchierata con un corollario di possibilità che, a cascata, genererà altri infiniti corollari. Ovviamente terrà tutto a mente e non dimenticherà niente, neanche dopo trent'anni. L'uomo, per memorizzare la soluzione, necessiterà di un post-it. Lo metterà da qualche parte e si dimenticherà (molto presto) dove. 




venerdì 28 agosto 2020

Il bagno degli uomini

 


Mettendo da parte per un momento ogni tabù, vogliamo affrontare una volta per tutte 'sta storia del bagno degli uomini?

Le donne, in bagno, ci vanno per scambiarsi le confidenze. Solitamente in due, perché è nel momento del bisogno che si vede la vera amicizia.

Gli uomini, invece, ci vanno per dimostrare che in mezzo alle gambe hanno un idrante, col quale devono spegnere chissà quale incendio. Se no, per quale altro motivo pisciano tutto intorno e mai dentro? Voglio dire, non è che devono mirare un bottone, ma un’apertura di parecchi centimetri di diametro, quindi se sbagliano lo fanno intenzionalmente.

Lo sciacquone, le donne, lo tirano anche due volte, gli uomini mai. E perché dovrebbero, visto che il cesso dentro è completamente pulito?

Inoltre PARE che i maschi non usino la carta igienica e che DOPO non si lavino mai le mani. Probabilmente questi due comportamenti, su cui si è indagato a lungo, sono legati alla penuria d'acqua sul pianeta e al discorso della deforestazione dell’Amazzonia. Io, tra vedere e non vedere, attendo che Angela padre e figlio si esprimano a tal riguardo.

Le donne in bagno parlano, ridono, si confidando i difetti degli propri compagni. Gli uomini, invece, parlano poco in generale, figuriamoci in bagno. Ma se capita che eccezionalmente ci entrino in due, talvolta si scambiano confidenze che orecchie femminee non potrebbero mai udire, più per i termini usati che per il contenuto. Possono commentare l'ultima partita di calcio o il fatto che da oggi la prostatite si possa contagiare, lo ha detto uno alla TV. Non bastava il Covid, ora ci si mette la prostatite a turbare il loro sonno e quale luogo è più adatto di un bagno per affrontare tale argomento?

E così, mentre si scambiano virili considerazioni su argomenti di attualità, qualcuno (che non si arrende all'idea che la gioventù sia passata da un pezzo) incide il nome di una donna o della propria squadra del cuore su quelle nobili pareti. È possibile che segnando quei nomi vogliano delimitare il loro campo d’azione, mandare un messaggio intimidatorio agli altri maschi e sottolineare una proprietà? Un po’ come fanno i cani quando pisciano tutto intorno all'albero... 

Pensandoci bene, forse è per questo che pisciano tutto intorno alla tazza del cesso.


giovedì 20 agosto 2020

Io, i complottisti e i negazionisti





 Non potevo lasciarmi sfuggire un'occasione così ghiotta per fare un po' di sano umorismo. Lo capite, vero?

Premessa. Rispetto le idee di chiunque e su qualunque argomento. Accetto gli uomini coi calzini corti e le scarpe francescane, dunque sono veramente una di vedute aperte, anzi apertissime. Ascolto sempre prima di parlare, perché voglio capire davvero il punto di vista dell'altro e il fatto che prenda appunti per il mio prossimo romanzo umoristico è un dettaglio.

Ci sono cose al mondo che proprio non si dovrebbero fare, tipo mettere la panna nella Carbonara o dire "scendimi il bambino", ma ripeto, il mondo è bello perché è vario e, dunque, se il mio vicino di casa va in pizzeria con la canottiera, lascio passare... Nel senso che  glielo lascio fare ma poi ci scrivo un pezzo.

E dunque sì, se vuoi puoi parlare di GOMBLOTTO, dire che la terra è piatta, (ma anche trapezoidale per quel che mi riguarda), che il COVID non esiste (e se esiste è colpa di Trump o di Putin), ma se lo dici nei social allora io posso commentare come meglio credo le tue affermazione. Con garbo ed eleganza, ma se rendi pubblico qualcosa devi accettare ogni rischio.

Ecco il potere dei social. C'è chi mostra culi e tette e chi quello che ha nel cervello, e non è detto che i primi stiano peggio dei secondi, anzi mi sa che è un vero pareggio. Infatti, così come si tirano fuori tette e culi (che fino a un minuto prima se ne stavano lì, ignari e senza colpa, e sono così, come li vedi... ok, photoshopati un po', ma ci sta), anche le idee le tiri fuori tu, ma spesso con maggior arroganza. E senza l'aiuto di photoshop, eh, sono proprio così come sono.

Ma cosa sarebbero i social senza queste esternazioni, senza i complottisti e i negazionisti? Di cosa parleremo nelle nostre bacheche Facebook, del tempo? Domani ci saranno 40°, che caldo, aiuto, speriamo arrivi presto l'autunno, etc. Finito. Di politica? Anche no. D'amore? Non esiste, è un'invenzione dei libri Harmony. Della Ferragni? È bona e furba. Finito. Quindi dateci dentro, complottisti e negazionisti, siete l'ultima speranza. Cosa sarebbe stato il lockdown senza di voi? Insieme alle ricette di cucina siete stati l'anima della festa, inutile negarlo. E io aspetto l'autunno con ansia, perché di certo ci sarà un secondo lockdown (grazie a voi, diamo a  Cesare quel che è di Cesare) e dunque godremo di una seconda stagione della serie TV "Conte, i Decreti e i complottisti", perché gli autori non ci posso lasciare così, senza un degno finale.



lunedì 17 agosto 2020

Ci manca qualcosa

 


‹‹Eva, non hai anche tu la sensazione che in questo posto manchi qualcosa?››

‹‹Hmm… no, mi sembra ci sia tutto. Cibo, acqua… è bellissimo...››

‹‹Sì, certo, è bellissimo… ma certe volte non ti capita di pensare che manchi… non so… qualcosa per rendere tutto perfetto?››

‹‹Dio ci ha dato tutto quello di cui avevamo bisogno per vivere…››

‹‹Sì… certo… però mi sento… come spiegarti? Non completo… Ho anche in mente quello che vorrei ma non ne ho mai visto uno in giro e dunque non so cos’è…››

‹‹Ho capito a cosa ti riferisci!››

‹‹Davvero?››

‹‹Ma sì, certo, ci penso anch’io  e sempre più spesso!››

‹‹Allora avevo ragione che mancava qualcosa!››

‹‹Sì, certo, manca uno uguale a noi, solo più piccolo, che abbia i miei capelli e i tuoi occhi, che pianga quando ha fame e quando fa la cacca.››

‹‹Eh?››

‹‹Sì, è così che te lo immaginavi, vero?››

‹‹Veramente me lo immaginavo ultrapiatto, a colori, con immagini di uomini in pantaloncini che corrono dietro un pallone… Ma chi sarebbe quel nanetto frignone di cui parlavi?››


(da Ci amiamo da morire, ma non è detto che sia una buona notizia)

Le cose accadono a chi le sa raccontare

 





Questa è una verità assoluta e vale anche per il mondo della scrittura.

Pensiamo a una pizzata, una di quelle occasioni goliardiche in cui l'amico più spiritoso racconta fatti accadutigli o, più semplicemente, una barzelletta. Probabilmente avremmo già il sorriso sulle labbra ancor prima che lui abbia pronunciato la prima sillaba, perché tono/espressione/gesti sono quelli giusti per far arrivare la storia. Magari la barzelletta è pure vecchia, ma non importa. Il nostro amico, che sa raccontare come nessuno, ce la renderà gradevole e godibile. Un po' come vedere i film del nostro comico preferito: anche se è la centesima volta non possiamo far a meno di ridere/sorridere. A me succede con Totò.

Tutto è stato già scritto, come si sa, quindi ciò che distingue un buon lavoro da uno mediocre è lo stile. Ma stile è una parola che vuol dir tutto e niente, inoltre si entra nel campo minato del gusto, perché lo scrittore più osannato del mondo non piace a tutti e il suo stile può essere elegante o pesante, a seconda dei gusti.

Ma, al di là di questo, è indubbio che ciò che conta è "come" si racconta. Catturare l'attenzione del lettore da subito, incuriosirlo, dargli magari qualcosa di "noto" ma proposto in modo diverso, originale. Per quel che mi riguarda, la prima pagina di un libro è determinate. Oserei dire le prime righe. Al 99% so già se quel libro potrà piacermi o no, ma siccome ho anche un 1% di margine d'errore, di solito arrivo a 4/5 pagine. Entro queste l'autore si gioca tutto, perché non credo affatto che esista l'obbligo di portare a termine un libro se non mi piace. Sarà che non ho molto tempo da dedicare alla lettura, per cui non posso permettermelo.

Dunque, saper raccontare, detto semplicemente. Ecco quello che conta. Un po' come quando ci si sedeva attorno al fuoco e qualcuno raccontava storie che tenevano gli occhi sgranati e la bocca aperta a grandi e piccoli. Questo dovrebbe essere l'obiettivo da raggiungere per uno scrittore.


domenica 16 agosto 2020

Adamo ed Eva

 


Quando Dio creò Adamo ed Eva aveva certamente un progetto ben preciso in mente. Non è pensabile che il Creatore dell’intero universo abbia iniziato qualcosa senza sapere come sarebbe andata a finire. Voglio dire, parliamo di Colui che sa tutto e lo sa da sempre, pertanto è assolutamente certo che avesse le idee ben chiare su quello che aveva in mente.

Il guaio è che lui sì, sapeva tutto, ma l’umanità no. E non ha lasciato istruzioni precise su quale fosse lo scopo di questo suo progetto, regalando a quelle due creature il cosiddetto libero arbitrio, che corrisponde nella sostanza a un “arrangiatevi”. E, onestamente, non sono i migliori presupposti per la più grande invenzione di tutti i tempi: la coppia.


In fondo è stato un po’ come lasciare qualcuno in mezzo alla giungla e dirgli “prova ad uscire, se ci riesci” oppure “ti regalo questa cassaforte piena di ogni ben di Dio…” (va be', di che altro poteva essere piena una cassaforte nell’Eden?) “… ma la combinazione trovala da te”.

Insomma, come in ogni thriller che si rispetti, qualcosa sfuggiva ai due, che onestamente da come ci vengono descritti nel Libro della Genesi sembrano pure un po’ tardi, e per essere i protagonisti della storia più grandiosa che sia mai stata inventata, non sono poi così simpatici.


Insomma, nel più grande progetto di tutti i tempi mancavano alcuni tasselli che (si sperava) sarebbero arrivati di lì a poco, chiarendo ai due indigeni e alle generazioni future (mica quattro gatti) il senso dell’umorismo di Dio e cioè: perché è stato deciso che il numero perfetto non è due ma tre?


Allora, mi chiedo, se Dio era consapevole che il numero perfetto fosse tre e non due, perché Adamo ed Eva erano soli nell’Eden? Forse intendeva spronarli, qualcosa del tipo “cercatevelo da soli il terzo” oppure conosceva già i pericoli, le tentazioni che un terzo incomodo avrebbe creato?

Io credo che Eva sapesse.

Le donne sanno sempre e quando non sanno, inventano.

Ma Eva sapeva. Sapeva che lì, nascosto da qualche parte, dietro un albero del Bene e del Male c’era Paco, un ballerino di salsa cubana, ovviamente travestito da serpente.

So cosa sta si sta chiedendo qualcuno di voi, perché il terzo incomodo doveva essere per forza un ballerino e non una ballerina?

Ovvio, perché si dice “il terzo incomodo” e non “la terza incomoda”.

Dunque, mentre Adamo (ignaro di tutto) usava una foglia di fico per creare la prima linea di costumi da bagno col suo nome, Eva pensava che un uomo che disegna abiti molto probabilmente è gay.

Per questo e per tutta un’altra serie di ragioni, Eva lasciò Adamo.

Sì, so che questa storia non è così che ve l’hanno raccontata, ma questo è realmente ciò che accadde: nonostante Eva fosse una donna di ampie vedute era pur certa che, poiché il futuro della razza umana dipendeva da lei, era necessario trovare un sostituto ad Adamo, evidentemente più interessato ad altro che a lei.

Dunque Eva scovò Paco, il ballerino cubano, bello, abbronzato e atletico e pensò che, visto che non c’era altre donne disponibili e che bisognava pur iniziare a popolare la Terra, avrebbe dovuto sacrificarsi.

Ma qualcosa non quadrava, perché sì, Paco era perfetto ma non sembrava minimamente interessato a lei e ne ebbe la certezza quando Paco (indicando Adamo che poco distante staccava alcune foglie di fico) le chiese “ma chi è quel fico lì?”.

Eva comprese che Paco non si riferiva alla pianta e si rattristò.

Ma non vi preoccupate, la storia ha un lieto fine. Anche perché non l’ha scritta uno qualunque, cioè parliamo dell’autore del più grande best seller mai scritto e dunque costui ne saprà qualcosa di trama e intreccio.

Fu così che Eva scoprì di essersi sbagliata.

Adamo non era per niente gay, con grande delusione di Paco (che però meditava vendetta), e così di lì a poco Adamo ed Eva fecero coppia fissa.

E lì cominciarono i guai.

(da Ci amiamo da morire, ma non è detto che sia una buona notizia)

venerdì 14 agosto 2020

Centro, di Amalia Frontali e Rebecca Quasi

 



Trama (fonte Amazon):

Londra, 1908.
La capitale britannica si prepara ai Giochi della IV Olimpiade.
Miss Ina Wood appartiene alla squadra femminile di tiro con l’arco e Monsieur Pierre Le Blon è un valente schermidore belga.
Si incontrano per caso, a seguito di un piccolo incidente automobilistico e scoprono di avere in comune un certo talento per la dissimulazione: Miss Wood guida un’auto non sua e Monsieur Le Blon non è chi dice di essere.
Tra schermaglie sportive e romantiche gite tra i ranuncoli, si consuma quella che pare destinata a restare una fugace avventura.
Ma il destino, lento e inesorabile, dispone che i nostri atleti si ritrovino a Vienna nel 1914, per affrontare il passato ed essere travolti dagli ingranaggi della Storia.

Recensione.

Questo è un libro che mi ha catturato dalle prime pagine innanzitutto per lo stile.  La gestione delle parti variabili del discorso è perfetta e dunque la sintassi ringrazia. I lunghi periodi, la punteggiatura abbondante (sempre rischiosa, se non la si sa usare) sono -in molti passaggi- dei piccoli capolavori. Mi immagino che le due autrici abbiano letto e riletto il testo, fino a che questo non sia apparso ai loro occhi (e alle loro orecchie) meno che perfetto ed è un vero piacere  leggere romanzi così curati anche nei minimi dettagli.

Quando si parla di stile di un autore, si entra nel campo minato dei gusti personali. I lettori intelligenti sanno valutare la bontà di un libro  al di là dello stile e quando leggo chi affossa un libro perché non ne ama lo stile, inorridisco. A me lo stile di Centro  piace molto. Non è un libro che si beve come acqua fresca, ma un libro denso dove uno stile corposo (ma nel contempo brillante)  la fa da padrone. Essendo un libro a 4 mani viene inevitabilmente da chiedersi dove finisca la mano di Amali e inizi quella di Rebecca, ma questa credo che sia la curiosità della scrittrice che è in me.

Ho trovato accattivante come i personaggi hanno preso vita pian piano, attraverso i dialoghi, i pensieri, i comportamenti. Tutto viene raccontato con dovizia di particolari, sia la macro storia che la micro, ed è davvero facile lasciarsi avvolgere nell'atmosfera di un'epoca così straordinaria come la Belle Epoque.

La storia è avvincente, a mio avviso più la prima parte (quella ambientata durante le Olimpiadi). Nella seconda il dramma la fa da padrone, si soffre di più e ci si chiede se PER CASO le autrici non abbiano intenzione di di privare i due protagonisti del lieto fine. Dunque, il plot è originale, senza alcun dubbio, e godibile anche da chi non è amante dello sport in genere, perché in questo romanzo lo sport è anche l'occasione per dei parallelismi con la vita di tutti  i giorni e non solo per imparare come si infilzi qualcuno o qualcosa. Vorrei davvero non dire troppo della trama, se non che era da molto (ma MOLTO) che non mi emozionavo così per una scena d'amore. 

Personalmente amo davvero tanto quando l'eros, la sensualità e tutto ciò che riguarda le scene d'amore viene affrontata con tale garbo,  eleganza e, oserei dire, nobiltà d'intenti. Detto chiaro e tondo, credo che siano molto più intriganti le scene di sesso dove il lettore abbia un buon margine di possibilità per fantasticare e non dove tutto è descritto al millimetro. Qui ciò che viene descritto al millimetro è l'evolversi dei pensieri, delle sensazioni, delle emozioni dei due protagonisti. M'inchino alla bravura delle due autrici. 

Il punto di forza è lo stile, che ho trovato eccezionale. Il punto di debolezza (a volerne proprio cercar uno, come negli anni '90 si cercavano le imperfezioni in Cindy Crawford) potrebbe essere l'evolversi del personaggio  maschile (e in minima parte anche di quello femminile). Lo struggimento non mi appartiene più (sarà l'età?) e i due protagonisti  da accattivanti che erano nella prima parte, sono diventatati a tratti "fastidiosi" per certi comportamenti,  tanto che mi veniva voglia di dar loro due sberle. Il lieto fine c'è, peccato che il merito non sia del tutto dei protagonisti, quanto piuttosto delle scrittrici. Lo so, come affermazione è poco chiara, ma potrei spiegarla meglio solo con un MEGA SPOILER e non voglio!