sabato 18 settembre 2010

Il bacio.


Milano, Pinacoteca di Brera. Ore 12,30. Una coppia di anziani coniugi seduti davanti al Bacio di Hayez.
Lui con gli occhi sulla Gazzetta dello Sport e lei che fissa, rapita, il dipinto.

-Alfio, tu non mi hai mai baciato così.- commenta lei con un sospiro.
-Così come, Tecla?
-In quel modo, come se fosse il nostro ultimo bacio! O forse il primo.
-Ricordare il nostro primo bacio sarebbe un’impresa. In effetti avrei difficoltà anche  per l’ultimo.
-Guarda come lui tiene il volto di lei, come sfiora la sua pelle. Si vede che la ama immensamente.
-Hai perfettamente ragione, si vede benissimo. - concorda lui, con gli occhi fissi sulla Gazzetta.
-Sai che penso? Che sia un addio… Chissà fra quanto tempo si rivedranno! Sembra quasi che vogliano ritardare il momento della separazione. Io non ho mai avuto un addio così.
-Mai disperare. - considera Alfio, cambiando pagina.
-Vedi com’è romantico? Guarda il suo cappello, come fa ombra ai loro volti, quasi a celarli al  mondo intero.
L’uomo solleva gli occhi  mezzo secondo, per osservare meglio il copricapo.
-Mi sa che è un alpino.
-E poi quell’abito, che meraviglia! Voglio pensare che sia un pegno d’amore. Se un uomo regala un abito alla propria donna, vuol dire che la conosce profondamente. E tu! Che fai tutte quelle storie quando ti chiedo di accompagnarmi a fare shopping!
-Il tuo non è shopping, Tecla. In quelle occasioni ti trasformi in un guastatore che viene paracadutato oltre le linee nemiche.
-Guardarli mi trasporta in un’altra epoca, in cui vivevano dame  e cavalieri. Rimarrei per ore a fissarli!
-Alle 3 c’è Milan - Inter…
-E guarda lei come  si aggrappa a lui… Certamente lo sta supplicando di portarla con sé, e lui -se potesse  parlare- direbbe di sì. Ne sono certa.
-E da cosa lo deduci?
- Perché tu non mi hai mai baciato così, non  hai mai sfiorato il mio volto in quel modo  e l’unica volta che mi hai portato con te è stato in viaggio di nozze.

 







L'urlo.


-Teeeerrrraaaaaaa!
L’urlo uscì straziante dalle fauci deformate.
La realtà si ripiegò su se stessa, il fiato mancò, il cuore smise quasi di battere.
Può un uomo sopravvivere a tanto?
-TEEERRRAAAAAAAA!
E fu ancora quel terribile urlo, disperato e incredulo, mentre l’ultimo capello, staccatosi dall’alveolo lasciò per sempre il suo lido natio. E cadde a terra.


venerdì 17 settembre 2010

C'era una volta.

-Udite, udite! Il re di un castello dietro l’angolo darà in sposa la sua bellissima figlia, principessa Xafhron dai piedi nudi, a chiunque riuscirà a scacciare dal suo dolce viso il pianto e a farla ridere nuovamente! Gentiluomo o popolano, libero professionista o statale! Chi volesse cimentarsi in questo arduo compito, dovrà farsi trovare alla mezza davanti al castello! E così facendo svelerà anche il mistero del Bosco di Xafhron! Non sono ammessi ritardatari! Udite, udite!

Il cavaliere di Xamphia meditò: bellissima figlia, nonché principessa, anche se dai piedi nudi. Perché non tentare? Lui era famoso per le sue strorielle, e certamente non avrebbe avuto difficoltà nel trovarne una che facesse ridere la bella principessa Xafhron dai piedi nudi.
Un’anatra dalle piume argentee gli morse uno stinco.
-Figlia di un’oca!- gridò il Cavaliere, cercando di afferrare l’impudente. Ma l’animale fuggì e a lui  rimase in mano solo una piuma argentea.

Salì sul suo destriero Duecavalli e si avviò. Giunto davanti al castello, vide una fila infinita di cavalieri, contadini, principi e balossi. Tutti lì per la bella principessa Xafhron dai piedi nudi, pensò. La vittoria non sarebbe stata facile.
Intanto i pretendenti erano stati raggruppati nella sala principale. Le porte furono chiuse e sprangate.

 Davanti, ben visibili a tutti, stavano il Re, la Regina e la principessa Xafhron dai piedi nudi.
“Ammazza, che piedi!”, pensò il cavaliere, osservando le fette della bella Xafhron, che a occhio e croce calzava 45 o 46. Ma era tutto ciò che si vedeva, perché ella era celata agli sguardi altrui da un velo, che faceva solo intravedere una presenza, ma di certo non consentiva di valutare alcunché in termini di bellezza. Il cavaliere imputò il viso celato ad un estremo di modestia e non si preoccupò, anche se quei piedi non erano certo un bel vedere.

 Intanto, uno dopo l’altro, i pretendenti si fecero avanti e chi con facezie, chi con motti di spirito, tentavano a modo loro di rallegrare Xafhron. Ma tutti, uno dopo l’altro, fallirono. Il Re e la Regina ormai erano due maschere di tristezza. Non che all’inizio fossero granché felici, anzi.
Giunse al fine il momento del cavaliere.
-Bene, cavaliere, e voi?- chiese affranto il Re.
-Ehm, maestà…
-Chiamatemi papà!
-Papà… ehm, posso avvicinarmi alla principessa Xafhron?
-Certamente…- acconsentì la regina afflitta.

Il cavaliere si accostò e  fulmineo allungò la piuma argentea verso i piedoni non proprio principeschi della donzella e le  fece un po’ di solletico.
Dopo una frazione di secondo la principessa scoppiò a ridere. Una risata così sguaiata da poter essere tranquillamente accostata al rumore che fa il treno quando frena in curva.  Con lei seguirono a ruota tutti, Re, Regina e cortigiani. Tutti ridevano a crepapelle e la risata, liberatoria, non  s’arrestava più. La principessa, frattanto, si era a tal punto scomposta che il velo si era divelto, mostrando un volto che faceva assolutamente pandan coi piedi. Inoltre una folta peluria arricchiva il suo labbro superiore. Insomma, per farla breve, la bella principessa Xafhron dai piedi nudi era un cesso.
Il cavaliere, approfittando dell’ilarità generale, si dileguò, e fuggendo comprese ben bene cosa fosse il Bosco di Xafhron.

Irresistibile

L'inverno si preannunciava come il più triste e cupo degli ultimi anni e, mentre in paese la gente cominciava a far provviste in attesa dell'incombente bufera, Richard fumava tranquillo il suo sigaro cubano, tenendo i gomiti appoggiati alla ringhiera del terrazzo.
Odiava fumare, ma era convinto che farlo lo rendesse estremamente seducente agli occhi delle donne. Perché si sa, il sigaro è decisamente maschile, mentre la sigaretta è del tutto femminile.
E lui era maschio e lo era fino al midollo.
Il cielo plumbeo in lontananza non dava speranze, la bufera sarebbe arrivata e sarebbe stata terribile. Ma lui non se ne curava, col suo sigaro cubano tra le dita e la sicurezza d’essere irresistibile per ogni donna che gli passasse accanto. Anzi, la fama lo precedeva. Come un conquistatore, che trova le porte della città aperta e non deve combattere perché la sua fama era arrivata prima degli eserciti, così accadeva a lui con le donne. Sì, irresistibile era la parola giusta. Bello, maschio fino al midollo e irresistibile.
Continuava a compiacersi di questo pensiero, mentre una sottile lingua di fumo lo avvolgeva di mistero, rendendolo (se fosse stato possibile) ancora più attraente e desiderabile agli occhi delle donne che passavano casualmente sotto il suo balcone. Molte, forse troppe, ma cosa poteva farci lui se era così maschio?
Piaceva e si compiaceva di questo. Un sorriso appena accennata sulle labbra virili, le guance ben rasate, i capelli neri e lucidi. 
Così, inconsapevole della bufera ma convinto del proprio fascino, distratto  da pensieri ameni, con la mente persa altrove, dimentico del luogo in cui si trovava, Richard introdusse all’interno della sua narice sinistra il dito indice, quello che -più di tutti gli altri- ha da dire la sua.
Lo fece soprapensiero, coi ricordi dell’ultima donna conquistata, e di certo non se ne avvide, ma la natura -a volte- è madre e matrigna. Forse dimentico della realtà che lo circondava? Di certo del luogo in cui si trovava,  esposto com’era allo sguardo di chiunque.
Fatto sta che il suo dito, insinuatosi poco eroicamente nella cavità, cominciò a perlustrare l’aerea condotta, fino al ritrovamento, forse fortuito, di ciò che cercava.
Non pago di ciò, con quel tesoro tra le dita, cominciò a lavorare la materia prima, solo per un istante priva di forma, fino a ridurla in schiavitù completa, ottenendo infine la sembianza cui lui ambiva.
Alla fine di quel nobile lavoro, Richard consegnò la sua opera all’eternità, abilmente, con pollice e medio flessi, lanciando nel vuoto quella parte di sé, forse non nobilissima, ma altrettanto vera.
Intanto la bufera si avvicinava.



mercoledì 15 settembre 2010

La prima parolina


Cosa c’è di più struggente della prima parolina pronunciata dal proprio figlio?
Io speravo fosse papà, mia moglie sperava fosse mamma. Mi sarei accontentato anche di pa', mentre mia moglie voleva la perfezione, e poiché lei ama la competizione scommettemmo sulla parola che avrebbe detto per prima.
Ad un certo punto ho temuto proprio che la prima parolina sarebbe stata cacca.
E, tutto sommato,  me ne sarei fatto una ragione. Pensavo, tra me e me, meglio cacca di mamma. Dopo tutto, anche cacca ha la sua utilità, dicevo a mia moglie. E, pensavo altresì, la scommessa sarebbe ancora valida.
 Ma lei no. Non avrebbe accettato che la prima parolina di nostro figlio fosse cacca, anche se (e me lo disse chiaro) meglio cacca di papà. Sebbene, sottolineò, la scommessa sarebbe stata ancora valida
Ma la sua prima parolina non fu papà, né mamma e né cacca.
La disse una sera, mentre guardavamo un programma alla tv. La disse chiara e fu: cotti. Poi, la ripetè diverse volte e non ci fu alcun dubbio: la prima parola di mio figlio era stata cotti.
Ma la cosa peggiore fu che, movendo i suoi primi passi, si avvicinò alla tv e guardando Jerry Scotti, disse: “Papà! Papà! Papà!”.
Ma mia moglie non me la diede buona.

lunedì 13 settembre 2010

Abnegazione

Lui era uno che, in ciò che faceva, metteva anima e corpo.
Dapprima aveva provato a farla finita col gas. Ma il suo palazzo non era ancora servito da quello di città, quindi aveva usato la bombola, che era finita sul più bello.
Poi aveva pensato ad un’arma da taglio. Facile da reperire, il cassetto della cucina ne era pieno, e di tutte le dimensioni per giunta. Aveva avuto solo l’imbarazzo della scelta, ma poi non se l’era sentita. Non per viltà o che, ma solo che non era certo di riuscirci con un solo colpo, e lui le cose o le faceva bene o non le faceva per niente.
Poi aveva pensato ad un classico western e aveva ragionato sul cappio al collo. Però si era rivelata una procedura troppo lenta, e lui aveva perso subito la pazienza.
Poi era stata la volta del veleno, ma da qualche parte aveva letto che è un metodo che usano prevalentemente le donne. E aveva desistito.
Aveva anche provato a buttarsi da un ponte. Si era organizzato perfettamente, ora giusta, giorno giusto. Ma uno che sa nuotare bene come lui, difficilmente affoga.
E così, nonostante tutti i suoi sforzi e ragionamenti non era venuto a capo di niente.
Poi un giorno accadde che, facendo una manovra azzardata con l’auto, s’era guadagnato da uno che passava un bel: “Ma vai e sparati!”,
E così la sua vita aveva riacquistato un senso. Anche se per poco.